BEYOND THE ONIROS FILM AWARDS®

Intervista VIP a Alexandre Bilardo, regista del cortometraggio ‘L’Âme de l’Acier’

a cura di Alice Lussiana Parente

Ho avuto il grande piacere di intervistare Alexandre Bilardo, regista, produttore e sceneggiatore del film “L’Âme de l’Acier” (Soul of Steel), un cortometraggio innovativo e coraggioso. Ambientato a Ginevra e caratterizzato da una lunga gestazione, attendeva forse il 2018 e gli “Oniros Film Awards” per trovare il meritato successo; un cross-over tra sci-fi e noir in cui la vera protagonista è un’arma con il suo fascino e il suo potere distruttivo.



Ciao Alexandre, è un piacere intervistarti di nuovo e ancora congratulazioni per il successo che il film sta riscontrando in tutto il mondo!

Buongiorno Alice, grazie, è un piacere rispondere alle tue domande.

1. Volevo cominciare chiedendoti: da dove prendi ispirazione per i tuoi film? Attingi mai a fatti reali o della tua infanzia?

Direi che l’infanzia conta sempre molto nelle scelte e ispirazioni. Le cose che vivi, che fanno parte di te, nutrono l’immaginazione. Essendo una persona molto ‘visuale’ (menomale), le immagini che ho di certi momenti che ho vissuto, che vivo o vedo, mi ispirano. Mi capita spesso camminando per le vie delle città o in altri posti, ascoltando della musica (di film principalmente), di vedere delle cose o della gente che mi dà subito un’idea o un’immagine per un film. È una ginnastica continua del cervello. Posso dire che spesso (non sempre) guardo automaticamente le situazioni quotidiane dal punto di vista della realizzazione. Non dimentico i giornali, le storie che ti raccontano la gente, i videogiochi, che sono sempre stati porte su universi straordinari e finalmente, le migliaia di film che ho visto, uno dei migliori apprendimenti. Dunque tutto questo è un mix di fatti reali e dell’infanzia con un pizzico di fantasia.

2. Sappiamo che la sceneggiatura di “L’Âme de l’Acier” è di Olivier LaFrance. Come siete arrivati a questa storia e come avete lavorato per la stesura della sceneggiatura?

Con Olivier, abbiamo portato due storie. Lui aveva la storia di un’arma ed io di un detective. Volevamo parlare di diverse cose, dal fascino delle armi sull’essere umano, delle ideologie che ci sono dietro questo, fino alla perdita di responsabilità quando arriva un dramma, il famoso “non è colpa mia” (sottinteso, è quella degli altri). Con il suo talento, Olivier è riuscito a far convivere queste due storie per creare una favolosa sceneggiatura. La gestazione è durata quasi un anno. Lui scriveva e poi ci vedevamo per parlarne, per confrontarci con le nostre idee e la visione che avevamo. La fortuna che ha avuto questo film (e anch’io!), è che Olivier ha une grande intelligenza e capacità a scrivere delle storie che hanno diversi livelli di lettura, una finezza ed una grande maestria a giocare con la lingua francese. L’altra cosa importante e che abbiamo avuto la stessa visione globale dell’opera prima di cominciare e non è da poco.

3. Ti sei ispirato al lavoro di altri registi per questo film? Se sì, a quali e perché?

Tantissimi, forse troppo! Più seriamente, ci sono delle ispirazioni importanti per Soul of Steel: Orson Welles con Touch of Evil per i piani lunghi, Otto Preminger con Where the Sidewalk Ends (Mark Dixon) per il latto puro Film Noir, Alan Parker con Angel Heart per la visione del detective, Ridley Scott con Blade Runner per il latto fantascienza, John Carpenter con Prince of Darkness per la chiesa e il latto “horror” e Alex Proyas con Dark City per l’uomo che si ritrova preso in un ingranaggio. Poi ce n’è sono ancora tanti, ma questi sono i primi che mi vengono in mente.

4. Da dove nasce il tuo amore per il genere noir?

Mi sono sempre piaciute le investigazioni, i thriller, i film con dei misteri. Il genere noir è venuto dopo che abbia visto Angel Heart, che mi ha aperto le porte di un certo tipo di cinema. Poi c’è stato Touch of Evil, The Big Combo, The Killling, Where the Sidewalk Ends, Double Indemnity, Sunset Boulevard, The Naked City, Pickup on South Street, ecc. tantissimi film che parlano del nostro lato oscuro, dei nostri demoni, hanno dei temi che ancora oggi trovo attuali. Il lavoro della luce che viene dall’espressionismo, dei quadri, delle sceneggiature, trovo che veramente ci sia stato una grandissima creatività. Poi è un’epoca del cinema che mi è sempre affascinata.

5. Nel film c’è un crossover tra genere noir e sci-fi, com’è nata questa scelta?

Soprattutto perché il senso metaforico di questo crossover era perfetto. Ci piaceva l’idea e funzionava a meraviglia nella sceneggiatura. È veramente l’istante dove la storia oscilla e ti porta verso un’altra visione degli eventi.

6. Olivier interpreta un uomo di chiesa, un personaggio cardine nella storia. Mi domandavo se anche per voi la chiesa ha avuto un ruolo guida o se c’è un messaggio dietro questa scelta.

Volevamo opporre due visioni del mondo: quella di tutti i giorni rappresentata dal detective che è un personaggio “razionale” e quella della chiesa che è più pronta ad accettare cose più soprannaturali. Questo confronto tra due mondi ci permetteva di esplorare i meccanismi della mente in certi situazioni e di vedere fino a dove indossiamo le nostre convinzioni.

Il regista Alexandre Bilardo assieme allo sceneggiatore Olivier LaFrance agli Oniros Film Awards 2018

7. Il film è stato girato a Ginevra, credi che la città abbia in qualche modo influenzato l’atmosfera del film?

Inevitabilmente sì, ci sono dei posti di notte che ti ispirano molto. L’atmosfera del lago, di certi building, della città vecchia, fanno che qualcosa di speciale ne esce. Però, non sarà mai una città dove puoi girare tantissimi film, essendo piccola, sei dunque limitato. Abbiamo anche fatto delle riprese a Losanna, tutte quelle del inseguimento tra l’uomo e il detective. È stato un piacere girare in questi due posti.

8. L’arma, ma soprattutto il suo utilizzo, interpreta un ruolo fondamentale nella storia. Qual è il messaggio che vorresti raggiungesse il pubblico?

La nostra idea era di parlare di un uomo che trova un’arma e che poi ne è affascinato. Dunque abbiamo utilizzato una metafora per mostrarla. Ma c’è sempre qualcuno che tiene l’arma e preme, ed è questo che volevamo che raggiungesse il pubblico. Poi la scelta di un Walther P.38 non è per caso, l’ideologia che c’è dietro, la sua storia, portano delle riflessioni importanti.

9. Ho trovato estremamente interessante il gioco di colori durante tutto il film. La scelta cromatica rimanda immediatamente al genere noir. Com’è stato lavorare con il tuo direttore della fotografia, Gregory Bindschedler, e quali sono gli ostacoli e le difficoltà che avete riscontrato durante le riprese?

Abbiamo guardato un grandissimo libro di foto di film noir per ispirarci. Nelle discussioni, gli è venuta l’idea geniale del blu e del giallo, al posto del bianco e nero. Ci permetteva anche di rispettare l’atmosfera del film e mantenere la dualità che c’è tra i personaggi. Le difficoltà erano soprattutto con la macchina fotografica, la Red One, che era ancora ai suo inizi nel 2009 in Svizzera. Girando in febbraio, il freddo la bloccava e dovevamo riscaldarla o tra le riprese metterla nel caldo. Poi dovevamo sempre verificare che i files fossero stati fatti, perché il sistema era ancora instabile. E non parlo delle luci che dovevano illuminare la chiesa, i building, ecc. Un lavoro immenso, visto che il film è stato girato al 95% di notte. Gregory e il suo team hanno fatto un lavoro eccezionale.

10. Parliamo un po’ del cast: come hai scelto i tuoi attori e come hai lavorato con loro per la costruzione del personaggio?

Abbiamo veramente lavorato in binomio con Olivier per tutta la parte attori. Per esempio, ciascuno ha avuto un casting differente. Per Laurent Annoni (il protagonista che trova l’arma), le nostre ricerche non erano convincenti. Eravamo sulla terrazza di un caffè con Olivier e Laurent è passato dietro di noi (Olivier lo conosceva). Si è seduto con noi, abbiamo parlato e quando è andato via, ci siamo guardati con Olivier e sapevamo che avevamo trovato il nostro protagonista. Per Alonso Leal Morado è stato un amico che ci ha presentato e finalmente per Vanessa Zurini è stata anche un’amica che ci ha messi in contatto. I personaggi erano descritti precisamente. Direi che la costruzione è stata di più nelle tante ripetizioni che nelle letture. Si è parlato tanto del senso di ogni movimento, gestuale e intonazioni. Dovevamo essere molto precisi.

11. Quando lavori con gli attori, ti piace lasciare spazio anche all’improvvisazione o preferisci attenerti al copione?

Un mix dei due è per me la migliore cosa. Per Soul of Steel, l’improvvisazione era minima, dettata da diversi bisogni, per esempio era quasi per tutti il primo film, ma nelle mie ultime opere, ho lasciato grandissimi margini e libertà all’improvvisazione. C’è prima una lettura precisa della sceneggiatura, un’analisi completa, poi ne parliamo e trasformiamo, costruiamo i personaggi insieme. È un piacere vedere nascere tutti i protagonisti. È uno scambio appassionante, una fortuna poter farlo. Sul set è un po’ più difficile visti i tempi che ci sono per girare.

12. Il film ha avuto una lunga gestazione: scritto nel 2008, girato nel 2009 e uscito nel 2011. Pensi che le tendenze cinematografiche siano cambiate dal 2011 a oggi? Se sì, credi che si sia risvegliato un interesse per il genere noir?

È stato una gestazione difficile e per certi versi dolorosa. Tra il 2011 e il 2017, il film è uscito solamente in Svizzera (in selezione all’NIFFF 2011, dove non è stato accolto bene). Volevamo fare un film che possa essere visto fra 20 anni come se fosse stato fatto a questo momento, che non abbia troppi elementi riconoscibili della sua epoca (e per questo che non ci sono smartphone nel film), un film senza tempo, direi che ci siamo riusciti in un certo senso. Ho deciso nel 2017 di ridargli una seconda vita (finalmente la sua vera) e ha riscontrato un bel successo. Nel 2011 non era il suo momento, oggi sì. Mi sembra che le mentalità e le tendenze oggi siano veramente verso i film di “genere”, ma poi è come tutto nella vita, le cose vengono e ripartono.

13. Che consiglio daresti ai nuovi registi emergenti?

Non mi permetterei di dare consigli. Quando avrò fatto dieci lungometraggi (se mai li farò), forse, e dico forse, potrò darne.